Tempio dei Castori
Il vicus Tuscus, la strada etrusca, separa la Basilica Iulia dal Tempio dei Castori. Due fratelli gemelli, i corrispettivi romani dei Dioscuri greci. In effetti il nome Castori è la pluralizzazione di uno dei due fratelli ellenici, che si chiamavano Castore e Polluce. Ecco un ottimo esempio di come, anche quando effettivamente si trovino a prendere qualcosa dalla Grecia, i Romani sappiano comunque rielaborarla organicamente. Il termine Dioscuri significa letteralmente “i figli di Zeus”. Ora, a Roma Giove non aveva in realtà figli, quindi, anche prendendo dall’Egeo i due gemelli, a Roma il loro nome viene mutato. Si sceglie di allargare ad entrambi quello di Castore. Questo perché i due fratelli hanno due specializzazioni diverse: Castore è un cavaliere, Polluce un pugilatore. Ai Romani le gare ginniche non interessano un gran che, i cavalieri invece erano un’affermata classe sociale, furono loro ad elevare Castore a dio della Repubblica ed a mettere in ombra il gemello boxer. Fatto sta che a Roma, si trattasse di edili che avevano edificato un tempio, o di dèi, il nome del secondo era destinato sempre a perdersi nell’oblio dei secoli.
Il tempio fu dedicato ai Castori poiché si racconta che furono loro a soccorrere i Romani durante una battaglia dall’esito assai incerto. Siamo agli albori della Repubblica, nel 499 a.C. Tarquinio il Superbo è stato cacciato dalla città, ma non avendo gradito la propria detronizzazione ha iniziato a brigare con tutte le città latine prossime a Roma, quelle che iniziano a temerne l’espansione, e le ha convinte ad unire le forze contro di essa, per poter così riprendere con la forza il potere. Lo scontro decisivo si svolge presso il Lago Regillo. I Romani stanno per avere la peggio, quand’ecco apparire due baldi giovani su veloci destrieri, che incitano l’esercito e mettono in fuga i nemici. Finito lo scontro dei due non si trova però alcuna traccia. Negli stessi istanti essi appariranno miracolosamente a Roma, presso la Fonte di Giuturna, che si trova ancora oggi alle spalle del tempio. Lì abbeverano i propri cavalli ed annunciano alla popolazione la vittoria. Identificati in seguito per il loro coraggio e la loro straordinaria bellezza con i due gemelli divini, i Castori riceveranno dunque il grande tempio, del quale oggi si possono ammirare solo le tre colonne di epoca tiberiana. L’edificio divenne con il tempo sede dell’ufficio dei pesi e delle misure, che in un Foro non poteva certo mancare.
Quando il Foro nel Medioevo tornò la zona acquitrinosa e malsana di un tempo, un terribile drago trovò rifugio sotto la gradinata di accesso al tempio (le leggende che parlano di draghi capaci di uccidere con il solo fetore delle loro fauci i poveri viandanti celano spesso il ricordo di mefitiche acque palustri). Fu papa Silvestro che riuscì a imprigionarlo con un sottile filo di cotone e tante preghiere a Dio. In ricordo di questa impresa fu edificata la chiesetta di S. Maria Liberatrice.