Curia
Ora la vediamo nuda, ma i bei laterizi visibili sulla sua facciata erano un tempo rivestiti di lastre marmoree nella parte bassa e di intonaco in quella alta. Come per buona parte dei monumenti di Roma, dunque, quello che vediamo oggi è solo lo scheletro di edifici un tempo riccamente ornati. Sulla facciata si osservano dei grandi vani cementati. Sono loculi. Il fatto che sorgano a 4 o 5 m dal piano del terreno ci fornisce l’occasione di ricordare come nel Medioevo, periodo cui tali sepolture risalgono, il piano di calpestio fosse molto più alto dell’attuale. Con le inondazioni del Tevere e con l’abbandono di una periodica manutenzione della Cloaca Maxima, il livello del terreno aveva cominciato a salire, inghiottendo e preservando monumenti e rovine. Il Foro si trasformò così in una grande e rigogliosa pianura, che fu presto ribattezzata Campo Vaccino, il campo delle Vacche, perché prima che qui venissero a pascolare archeologi e studenti universitari, si pascevano ben più comodamente armenti e greggi. Quando a partire dal 1788 Von Fredenheim iniziò a scavare la zona, seguito poi da Fea, Nibby e Giacomo Boni, la suggestione provocata da quelle rovine che riemergevano dal suolo come giganti addormentati fu enorme, come ricordato ad esempio dal Belli.
Il portale che consente l’ingresso all’edificio è una copia, ma l’originale esiste ancora, fu infatti asportato da papa Alessandro VII per ornare l’ingresso principale della basilica di San Giovanni in Laterano. Entrando nella Curia proverete qualcosa che difficilmente si riesce a provare quando si visita un monumento antico, il senso della volumetria, una volta tanto non dovrete fare grossi sforzi di immaginazione, la Curia è lì, davanti ai vostri occhi. Ovviamente non è più quella dei tempi di Cesare, che, per inciso non morì qui, come molti credono, ma nella Curia del suo storico e defunto avversario, Pompeo (la Storia ha un suo particolare gusto per la teatralità!), che si trova alle spalle dell’Area Sacra di Largo Argentina, più o meno sotto il Teatro Argentina. L’edificio risale all’epoca di Diocleziano, ovvero al III secolo d.C. L’ottimo stato di conservazione è dovuto alla sua precoce trasformazione in chiesa, nel VII secolo. Restano ancora tracce degli affreschi che un tempo ornavano S. Adriano, così fu ribattezzata. Sui due lati del bel pavimento marmoreo si trovavano dei bassi gradini su cui i senatori si riunivano, seduti sulle loro seggioline pieghevoli (le sellae curules, così si chiamavano, ed erano uno dei simboli del loro potere). Sulla parete di fondo sedeva il princeps senatus, il moderatore della seduta, ed alle sue spalle si trovava la statua della Vittoria. Un’altra opera che non c’è più, ma della quale vale la pena parlare. Era una statua dedicata dal senato alla vittoria di Augusto ad Azio, contro Antonio e Cleopatra. Rappresentava la dea alata, secondo alcuni proprio quella che si trova oggi in un magnifico museo di Roma, la Centrale Montemartini. Quando nel IV secolo d.C. buona parte dei senatori si scoprì cristiana, iniziarono le ambascerie all’imperatore che chiedevano la rimozione di quel simbolo religioso pagano da un luogo pubblico. Una sorta di disputa per il crocifisso al contrario. Lo scontro fu epocale perché si fecero portavoce delle due opposte istanze due grandi protagonisti del secolo, Ambrogio, futuro santo patrono di Milano, e Simmaco, grande oratore, che ci ha lasciato accorate parole in favore della tolleranza religiosa. Parole che rimasero inascoltate e che portarono alla rimozione della statua, simbolo per quattro secoli della grandezza di Roma. Per alcuni questo fu un funesto presagio della vicina caduta dell’Impero.
Prima di uscire dalla Curia gettate uno sguardo ai due anaglifi di Traiano. I due rilievi che illustrano due atti di benemerenza dell’Imperatore. Prima di osservare la scena guardate bene lo sfondo. Vi sono templi, edifici colonnati, un albero (sarebbe il fico sotto cui la lupa allattò Romolo e Remo), quello che state vedendo scolpito è il Foro di duemila anni fa. Ci si chiede spesso come facciano gli archeologi da pochi resti perimetrali a risalire alla struttura in alzato di un edificio. Ebbene li aiuta in questo lavoro la grande pignoleria dei Romani. Non solo nei rilievi storici infatti essi riportavano con dovizia di particolari le strutture che comparivano sulla scena, riuscivano a farlo anche sulle monete. Possediamo riproduzioni piccolissime e dettagliatissime di molti degli edifici della città. Ma c’è di più. Avevano infatti realizzato, ai tempi di Settimio Severo, un’enorme carta catastale della città in marmo, un vero e proprio Tuttocittà di pietra, che si trovava esposto nel Foro della Pace, dove oggi sorge la Chiesa dei SS. Cosma e Damiano. Con il tempo la pianta è crollata, si è sbriciolata in una miriade di frammenti, in un meraviglioso puzzle che gli studiosi stanno ancora cercando di ricomporre. Ma torniamo ai rilievi di Traiano. Quello sulla destra mostra l’imperatore intento a offrire prestiti assai vantaggiosi ai contadini, quello di destra lo vede bonariamente assiso sul suo scranno mentre una lunga fila di cittadini porta al rogo dei libri. Non si tratta di un Fahrenheit 451 ante litteram, ma di un molto più prosaico condono fiscale. Eh sì, il sovrano si vanta di aver fatto dare alle fiamme i libri contabili degli insolventi… Superata la sensazione di déjà vu, guardate in alto. Il soffitto è assai alto rispetto al perimetro dell’edificio, questa sproporzione è dovuta a motivi di acustica, serviva a far risuonare forti e chiare le parole del Cicerone di turno.